Dovrà lasciare le sue montagne, picchi e abissi torneranno vividi anche sulle rive piane del Po e tra i suoi pioppeti, soli testimoni per tanto tempo della produzione di gran parte dell’opera per cui Ligabue sarà celebrato. “In questo luogo desideriamo raccontare un teatro in grado di dialogare col pubblico”, diceva venerdì sera Colella aprendo il festival. Un essere tormentato di cui Perrotta racconta i fatti salienti di una vita già segnata, come dice il personaggio, dalla data di nascita, il 18 dicembre 1899, 13 giorni e si apriva il nuovo millennio e chissà forse la vita di Antonio sarebbe stata un’altra. Gli spettacoli che nascono a Castrovillari a volte sono ancora imperfetti. Non si adagia sugli allori, appena trova una formula riconoscibile, che può essere vincente, ma ripetitiva, anche nel futuro prossimo, la abbandona e si lancia in nuove sfide. Ecco che, ancora una volta, un confine determina una discriminazione bilaterale e a furia di annotare situazioni del genere, mi viene da pensare che è il concetto stesso di confine ad essere sbagliato. Nel frattempo la madre sposa un emigrato italiano, Bonfiglio Laccabue, e l’uomo lo legittima, dandogli il suo cognome. Uno spettacolo indimenticabile che lascia, come il teatro dovrebbe, uno straordinario senso di rivelazione. Vorrebbe dire che il crollo è avvenuto, significherebbe che non resta che provare a ricostruire. Ein, zwei, drei….Perrotta/Ligabue conta le facce che stanno a guardarlo e ognuno si sente interpellato. ANTONIO LIGABUEâ, dedicato alla vicenda umana e artistica, tra genio e marginalità, del grande pittore naif scomparso nel 1965. Lo stesso atteggiamento, pur di fronte a tutt’altra materia, si rileva nel nuovo spettacolo di Mario Perrotta, Un bès. Dopo il debutto a Castrovillari per Primavera dei Teatri, e prima di arrivare ad Asti Teatro la prossima settimana, il nuovo spettacolo di Mario Perrotta è approdato a Milano nell’ambito della rassegna Da vicino nessuno è normale che, per merito dell’associazione Olinda, propone una ricca e interessante rassegna teatrale estiva nell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, quest’anno fino al 14 luglio. e con Yasmin Karam aiuto regia Yasmin Karam scene Mario Perrotta costumi Sabrina Beretta video artist Hermes Mangialardo La voce si trascina in un impastato dialetto emiliano, la postura si disarticola per seguire le accensioni del protagonista, il suo destino di genio del disegno e di scemo del villaggio. Fantasmagorie, come attorno a uno scemo del villaggio. Poi gira il pannello centrale e lo affianca al primo: su di essi disegna un paesaggio ed anche un grande volto femminile. – il progetto Ligabue nasce per questo. Come rapito in un viaggio visionario, Ligabue/Perrotta approda in paesi sconosciuti rimpiangendo terre perdute e forme familiari. Recitare e disegnare in un unico slancio: in questo contemporaneo e difficilissimo sforzo creativo Perrotta dà volto e parole alla follia, all’artista muto, agli incubi di solitudine. «Perrotta si inventa una straordinaria maschera verbale, Qui, in cella, riconoscono la sua abilità pittorica. Il padre mai conosciuto, la madre morta improvvisamente, il bimbo dato in adozione e poi denunciato dalla madre adottiva stessa perché violento, difficile, i manicomi, l’espulsione dalla Svizzera, l’arrivo a Gualtieri. “Lo faccio con la precisa intenzione di chiamare in causa le persone e far capire che quel che succede agli altri ci riguarda”, dice Perrotta. A Gualtieri gli spettacoli nel Teatro Sociale hanno aperto una serie di iniziative per le celebrazioni dei 50 anni dalla morte del grande artista, GUALTIERI (Reggio Emilia) – “Mi dai un bacio? Senza dignità? Lo spettacolo prima che una biografia del pittore, è una straordinaria metafora della vita perduta, dell’assenza, della ricerca incessante di umanità e affetto. Mario Perrotta - Prima Nazionale di Odissea al festival Bella Ciao di Ascanio Celestini. Quasi da circonvenzione d’incapace, il pittore disegna sperando nell’ambito bacio (neanche le prostitute andavano a letto con lui sostenendo che puzzava), lui chiede informazioni, delucidazioni, è palpitante, fremente, si ferma e chiede nuovamente “Me lo dai un bes?” sognante, lei lo rincuora, lo tranquillizza mentre gli continua a dire che sì, glielo darà questo benedetto bacio ma solo e soltanto dopo che avrà terminato il suo disegno che lei non riesce a comprendere ma che ha capito in giro che potrebbe valere molti soldi. Perrotta ammette di provare tenerezza, per quest’uomo brutto e selvaggio che aveva nelle tasche le caramelle per i bambini. E’ un grande affresco quello che si ha al termine dello spettacolo: la parabola di un uomo attraverso un’indagine che trae spunto dalla realtà vissuta di Gualtieri, dalla sua gente, dal mondo che è stato quello di Liguabue. Sugli argini cominciò a modellare con l’argilla forme di scimmie e di mucche. Perrotta-Ligabue entra in scena dalla platea, dal basso, e chiede implorando un bès, un bacio, negli occhi e nei gesti oltre che nelle parole i marchi a fuoco di una sofferenza di quelle che non guariscono certo con un bacio, ma che una qualsiasi dimostrazione d’affetto potrebbe almeno lenire. Related Videos. Ma Antonio Ligabue solo per poco ritornerà dalla sua “mutter” perchè sarà costretto a 19 anni a lasciare la sua terra per Gualtieri, paese d’origine di quel genitore che lo ha riconosciuto per burocrazia, ma non per amore. con Mario Perrotta e Paola Roscioli. Antonio Ligabue - Sabato 25 luglio 2020 - Corte di Villa Sottocasa, Vimercate, Lombardia. Perrotta lo fa agitare senza tregua in una gabbia di sofferenza e di solitudine, dove il solo conforto sembra essere l’idea delle donne che potrebbero lenire tanto dolore — magari Ines — sono le uniche che potrebbero donarlo, quel bacio che non sarà dato. Dopo un prologo nei paesi vicini, in attesa della conclusione con la ripresa di Mercuzio non vuole morire nel teatro Persio Flacco, tutto gli spettacoli si sono svolti in un carcere in cui gli ambienti aperti e chiusi prendevano nomi di artisti visionari, diventando spazio Brecht, spazio Artaud, spazio Genet, spazio Kafka, spazio Leopardi, spazio Rabelais…, Ha inaugurato quest’ultima settimana di festival tra le sbarre Santo Genet Commediante e Martire, il nuovo spettacolo firmato da Armando Punzo, sul quale tornerò più diffusamente in questa e in altra sede. È lei la nuova interlocutrice, l’oggetto del desiderio che ascolta la sua storia, a cui descrive le bestie che osserva (e l’aquila che ghermisce la preda). Inveisce contro il patrigno e viene riaffidato alla coppia elvetica. Voglio stare anch'io sul confine e guardare gli altri. Per me e per voi" Senza tutto il resto che è comunione di carne e di spirito, senza neanche una carezza. Un luogo dove la parola rifulge e si fa anima. E una volta che i muri sono saliti, tu malato di mente ti trovi oltre essi e quindi sei “fuori”. Prende il pubblico alle spalle, questo autore che ha vinto il Premio Ubu 2013 come migliore attore e il Premio Hystrio 2014 per uno spettacolo prodotto dal Teatro dell’Argine con i contributi di Paola Roscioli, Riccardo Paterlini, Luigi Burroni e Stefano Salerno. E’ uno dei momenti più toccanti dello spettacolo, quando sotto il suo viso, che ha appena finito di disegnare (Perrotta per tutto lo spettacolo dipingerà col carboncino), inizia a raccontare, anzi a vivere e a dipingere, l’infanzia di Ligabue tra le montagne svizzere, in mezzo alle bestie, amando quella madre che non gli è madre, ma che lo è immensamente di più, a soffrire per il distacco da lei per essere condotto al manicomio, ed ancora una volta da lei. Una rappresentazione sul filo della memoria e del coinvolgimento emotivo che Mario Perrotta riesce a trasmettere ad un pubblico che a poco a poco vorrebbe darglielo davvero un bacio, per porre fine alle sofferenze di un uomo, Ligabue, che è prima di tutto un artista emarginato. Semmai, tentarono di sfruttarlo, anche le donne, ma lui questo lo sapeva e a volte si vendicava in modo feroce, facendosi pagare dei quadri in anticipo e poi realizzando delle opere brutte (a suo stesso dire!). Una figura ideale, secondo Perrotta, per indagare sul concetto di diversità. La chiama mutter Elise, raffigurata attraverso il tratto a carboncino sulla carta che Perrotta con mano sicura, esegue a complemento delle parole recitate con un livello emotivo capace di commuovere il pubblico. Dam un bès, uno solo! Che dire del momento in cui, tracciato con il carboncino una montagna e un volto femminile, Ligabue/Perrotta accucciato come in un gesto di abbraccio totale, in una disperatissima richiesta d’affetto, si rivolge all’effige della madre e a quel paesaggio così a lui caro? Perrotta penetra la scena risalendo dalla platea, in un lungo coprente cappotto scuro che è tutto di lui, l’immagine nota, il corpo occluso da quel viso ispido, ossuto, quegli occhi in cui si vede compressa la sua necessità. Antonio Ligabue, spettacolo pluripremiato che ha debuttato nel 2013, costituisce la prima parte di una trilogia dedicata da Mario Perrotta alla figura ormai leggendaria di Antonio Ligabue, la cui scoperta e rivalutazione, dagli anni ’60 in poi, è andata oltre l’aspetto della sua produzione artistica per una considerazione più ampia della sua vicenda esistenziale ed umana. Il tutto scandito da un minimo comune denominatore: la richiesta di affetto e di amore, di quel “bacio” del titolo mai ricevuto. Quello anagrafico, Laccabue, glielo aveva dato il patrigno. Il rapporto con la gente è sempre più lontano da essere considerato normale e anche la sua pittura verrà considerata segno della follia che lo possedeva. Appunti di un diario in vista di discorsi più complessivi. Tra gli esponenti di maggiore spicco della prima categoria c’è di sicuro la Compagnia […]. Antonio Ligabueâ, spettacolo con il quale ha vintor il Premio UBU 2013, lâOscar Italiano del ⦠E qui l’incontro con l’arte, l’abbraccio furioso con la natura, la fama per questo artista solitario, commovente, inquietante, «Al matt» come veniva chiamato. «Perrotta si inventa una straordinaria maschera verbale, un delirio ossessivo che getta una luce livida sullo sguardo che il mondo rivolge al "diverso", al non-omologabile, seppure artista geniale» «Se vi do un quadro, dopo voi mi volete bene?». Perrotta costruisce sapientemente la progressione drammatica dei dialoghi con i fantasmi che abitano la mente di Ligabue, esasperando la tensione fino ad una parola urlata che prelude alla pausa, al silenzio, prima di innescare un nuovo disperato cortocircuito. Il paese lo deride ma acquista i suoi quadri, i “normali” si fanno dipingere il furgoncino che poi rottameranno senza rendersi conto di quel che fanno, pur se legati a filo doppio al valore venale, al denaro, neppure sanno di aver rottamato un’opera d’arte, lo capiranno solo quando l’artista morirà e i suoi quadri avranno l’onore di essere “opere d’arte”. Antonio Ligabue, prima tappa di un progetto sul pittore naïf: prendendo le mosse dall’infanzia in Svizzera, dall’abbandono da parte della madre naturale Perrotta evoca lo stato di straziante solitudine che segna Ligabue nel suo vagare fra gli argini del Po. L’anno scorso era slittata forzatamente a novembre, per i pasticci burocratici e l’insipienza dell’amministrazione regionale presieduta da Scopelliti. È con queste parole che Mario Perrotta, voce di spicco della drammaturgia italiana, introduce âUN BÈS. collaborazione alla regia Paola Roscioli Neanche un bacio, già da lì. La sua è un’adesione partecipata, sentita, funzionale all’urgenza alla base della rappresentazione. Emerge da un passato che sembra celare un’evanescente ricordo, come se la storia di un uomo divenuto poi artista famoso e celebrato per la sua arte, trovasse il giusto riconoscimento non solo attraverso il talento di pittore di cui era dotato, ma anche nella rievocazione sulla scena ad opera di un attore capace di assimilarne le sue gesta e le movenze, il suo incedere tipico di un uomo solitario e scomodo per la società del suo tempo.
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